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venerdì 8 luglio 2011

Il filo di lana tra Oriente ed Occidente

Originario abito Sufi

Fu a Santa Lucia del Mela, provincia di Messina, nel castello risalente al periodo arabo, che i primi poeti della “Scuola siciliana” di Federico II si riunirono per dar vita ad una delle esperienze poetiche più importanti del Medioevo cristiano. Siamo tra il 1209 e il 1212, quando la corte reale, sia di Federico, sia di Costanza, aveva sede a Messina.

La Sicilia aveva vissuto un periodo di splendore durante la sua arabizzazione e non da meno era stata la poesia in lingua araba. Si sviluppò, nell'indipendente emirato, sotto la dinastia dei Kalbiti, una vera e propria scuola poetica che seppe distaccarsi dalla tradizione della poesia classica araba, adattando i versi alle latitudini dell'isola. Ibn al-Khayyat, Ibn Hamdis al-Siquilli (Siracusano), al-Billanubi (di Villanova CT), furono i più rappresentativi poeti che resero illustre la Sicilia durante il periodo arabo.


Ruggero II adottò i costumi arabi, aveva un arem, che per un cristiano non era male, anche se con il papato non sempre corse buon sangue. La poesia araba continuò ad essere fiorente. Abd al-Rahman di Butera celebrava lo sfarzo delle ville normanne, l'omonimo Abd al-Rahman, ma trapanese, venne considerato uno dei maggiori rimatori dell'epoca.

Che la poesia araba fosse conosciuta presso la corte di Federico II non è un segreto. Il Re ed Imperatore conosceva la lingua araba e nel suo regno si avviò un'opera di traduzione di importanti testi scientifici, filosofici e teologici di lingua araba, tanto da trasformare la corte siciliana in un veicolo di conoscenze per tutta l'Europa.

Danza Sufi
Dall'Islam, proveniva quel neoplatonismo che secoli addietro aveva riparato in Persia, dando vita alle correnti mistiche islamiche. E della presenza del misticismo islamico in Sicilia bisognerebbe spendere qualche parola in più, fin dal sorgere dei ribat, nei quali i militi-mistici conducevano una vita cenobitica.

Su tutto ciò si innesta la scuola poetica siciliana di Federico II, nodo del “suf”, filo di lana, che da Trismegisto conduce a Pitagora, Platone, Seneca, Plotino, i Sufi, i Templari e continua per i poeti ghibellini siciliani, fino a Dante ed oltre.

Nel filo di lana era confluita anche la simile esperienza trobadorica, già da lungo presente nell'isola, probabilmente da epoca normanna e alla cui “imitazione”, riduttivamente, si assegna la nascita della "Scuola poetica siciliana": Giovanna, moglie di Gugliemo II era figlia di Eleonora d'Aquitania, nipote del più antico trovatore conosciuto; Enrico VI era poeta tedesco imitatore dei trovatori; Costanza era figlia di Alfonso II d'Aragona e sorella del re Pietro, protettori di trovatori ed essi stessi poetanti.

Jacopo da Lentini
Accadde lì, a Santa Lucia del Mela, che mi piace pensare come il ribat ricostruito da Federico II in cui i mistici poeti elaborarono quella poesia sincrasi dell'esperienza siciliana. Nacquero quei versi in siciliano dotto, arricchito da francesismi, provenzalismi e latinismi, che faranno da tramite a temi già presenti nella poesia araba classica: dalla separazione e riconciliazione amorosa, al motivo dell'ammalato d'amore che solo l'amante può sanare, fino allo sguardo dell'amata che ferisce a morte il cuore, tema retorico della poesia araba (presente nei versi dei siciliani al-Billanubi e Ibn Hamdis). Inutile ricordare l'importanza dello sguardo in Cavalcanti che apprezzò la filosofia di Averroè.

Versi che continuarono il culto della donna allegorica persiana, elaborando le prime forme di donne allegoriche cristiane, che in Sicilia poterono apertamente chiamarsi Rosa, come in Ciullo d'Alcamo, grazie alla protezione dell'illuminato Federico, ma che altrove dovettero celarsi dietro diversi nomi. E' la sophia, la beatitudine incarnata nella Beatrice dantesca. Bisogna parlare involuto per ragioni di prudenza, diceva Gunizelli per giustificare il nuovo stile.

Sono i versi nei quali si cantò l'”amore”, (già nel siciliano Ibn Hamdis il concetto di servo d'amore che tanta piaga affligge e sempre in piedi mi costringe …), l'eros neoplatonico come aspirazione al mondo superiore, al superamento del condizionamento materiale


Noi siamo usciti fore
del maggior corpo al ciel ch'è pura luce:
luce intellettüal, piena d'amore;
amor di vero ben, pien di letizia;
letizia che trascende ogne dolzore.
(Dante Alighieri, Paradiso, XXX)



Il mio cuore è divenuto capace di accogliere ogni forma
è un pascolo per le gazzelle,
un convento per i monaci cristiani
è un tempio per gli idoli, 
è la Ka'ba del pellegrino
è le tavole della Torah, 
è il libro del Sacro Corano.
Io seguo la Religione dell'amore, 
quale mai sia la strada
che prende la sua carovana: 
questo è mio credo e mia fede.
(Ibn l-'Arabi, Tarjumân Al-Ashwâq)


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A cura di F. M. Corrao, Poeti arabi di Sicilia, Mesogea, 2005
Bruno Panvini, Poeti italiani della corte di Federico II, Liguori editore 1994
Erich Caspar, Ruggero II, Edizini Laterza, 1999
L'esoterismo di Dante, Renè Guènon, Adelphi, 2001
Il linguaggio segreto di Dante, Luigi Valli, Firenzelibri, 2008
Eberhard Horst, Federico II di Svevia, l'Imperatore filosofo e poeta, Bur, 1994
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